"Il mare non bagna Napoli" di Anna Maria Ortese (1914-1998) è una raccolta di cinque racconti: Un paio di occhiali, Interno familiare, Oro a Forcella, La città involontaria e Il silenzio della ragione.
Napoli è rappresentata nel suo lato oscuro, sia dal punto di vista sociale (alcuni testi rasentano il reportage) sia dal punto di vista morale. Il libro è la cronaca di uno spaesamento. La città ferita e lacerata dalla guerra diventa infatti uno schermo sul quale l’autrice proietta ciò che lei stessa definisce la propria «nevrosi»: una nevrosi metafisica, una impossibilità di accettare il reale e la sua oscura sostanza, la cecità del vivere, un orrore del tempo che ogni cosa corrode e divora – e insieme il riconoscimento del «cupo incanto» della città, del mondo. Tutto il libro, con la sua scrittura «febbrile e allucinata» e al tempo stesso rigorosissima, è un grido contro questo orrore, da cui lo sguardo – come quello della bambina Eugenia il giorno in cui mette gli occhiali, nel primo, indimenticabile racconto – vorrebbe potersi distogliere: e non può.
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